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27Nov

Pianura

Durante i mesi autunnali l’ambiente di montagna è spesso condizionato dalla presenza di cacciatori; la fauna tutta risulta quindi disturbata. Dopo diverse uscite in montagna senza particolari avvistamenti, mi trovo quindi a cercare uccelli migratori e svernanti in pianura, dove gli spari sono comunque numerosi, ma da qualche parte bisogna pur respirare… E’ comunque chiaro che anche gli uccelli non amano la presenza umana, forse collegando chiunque vestito di verde ai decerebrati che cacciano i migratori.
L’albanella reale è un rapace che seguo da qualche anno, la prima volta vidi due esemplari femmina a 1500m, in occasione della migrazione post-riproduttiva, in seguito ebbi modo di rivedere nei mesi invernali un esemplare che scrutava i pendii in quota alla ricerca di prede.
Ma in pianura è comunque più facile avvistarla, nelle risaie dove il riso è stato tagliato da poco seguono i canali di irrigazione a pochi metri da terra, per questo risulta difficile e coinvolgente seguirle; appaiono all’improvviso e altrettanto velocemente scompaiono; il maschio avvistato per la prima volta da poche settimane è per me ancora più intrigante. Spesso sono le cornacchie ad avvertire della loro presenza, praticando il mobbing per difendere il territorio. Ho inserito una nuova galleria con i migliori risultati finora raggiunti.

Esemplare giovane visto dalla città durante il lockdown Covid19 autunno 2020

06Giu

La panthère des neiges

Guardare il documentario e leggere il libro che ne racconta la storia nello stesso periodo è coinvolgente. Vincent Munier è uno dei più grandi fotografi naturalisti attuali (non il più grande, ma si sa che i francesi utilizzano spesso a sproposito questo aggettivo verso i propri connazionali e in questo ambito le classifiche vanno messe da parte), e il leopardo delle nevi è un soggetto che attira l’attenzione di molti. Una volta citato il libro di Mathiessen dal medesimo titolo ma dai contenuti più intimi, ma soprattutto lo zoologo George Schaller che lo ispirò, il connubio tra le due opere che hanno in comune l’autore Sylvain Tesson è particolarmente riuscito ed originale senza alcun debito di riconoscenza. Resta il fatto che in questo caso l’argomento è stringente, la panoramica fatta sui rischi che corrono in generale gli animali selvatici è da mettere in primo piano, e sia il fotografo che lo scrittore, che la regista hanno a cuore l’argomento del nostro rapportarsi ad essi.
Il libro è già tradotto in italiano, mentre il film arriverà nei cinema in autunno e in DVD è disponibile per ora solo in francese e in inglese.

03Nov

ITALIA SELVATICA

Ottimo libro di Daniele Zovi – Edizioni UTET, panoramica necessaria e pratica sulla presenza e diffusione di specie simbolo per la fauna selvatica italiana. Molte le citazioni e le collaborazioni, senza invidie o esclusive ma forte di un’esperienza sul campo come membro e dirigente del Corpo Forestale dello Stato, l’autore descrive in ogni capitolo, dedicato a un animale diverso, le peculiarità della specie, le difficoltà che incontra, la sua diffusione. Fa chiarezza sui grandi carnivori e sulla loro capacità di regolatori della fauna, non mancano i cenni storici e le citazioni, oltre alle leggende e agli utilizzi impropri di parti di animale per scacciare il malocchio o malattie di ogni tipo. Fa capire quindi che quello che fanno i cinesi oggi con la medicina “tradizionale”, è stato fatto anche in Italia pochi secoli fa.

23Ott

Trekking e treno

Durante la scorsa estate, stanco delle notizie sul Global Warming e altrettanto di chi predica, si atteggia e poi parte in aereo, ho deciso di fare un trekking in Val di Susa, ma di arrivarci in treno. Coincidenze facili e rapide, arrivo nella piccola stazione di Salbertrand e poi inizio della salita verso il Rifugio Levi-Molinari tra prati secchi dal caldo e farfalle in cerca di fiori.
Prima piacevole tappa con qualche cervo e camoscio avvistato dalle tavole in legno del rifugio e chiacchierata con un viandante francese. Il giorno successivo salita al Bivacco Sigot a 2900m, un bel dislivello nei due giorni, specie con zaino ed attrezzatura, in tutto pesavo 18kg in più del peso svestito… Poco passaggio di turisti, uno in discesa per fortuna si è portato via il cane fuggito dal malgaro piazzato ad un passo vicino.
La notte in bivacco con il temporale è stata quindi un riposo meritato.
Non c’era acqua corrente, per limitare il peso in salita ne avevo preso solo un litro; i nevai rimasti erano però una buona riserva, anche se il passaggio di aerei proprio lì sopra lasciava intuire la presenza nefasta di idrocarburi.
Ma meglio che disidratarsi in fondo… Poco più in là quelli che sembravano cespugli erano in realtà rotoli di filo spinato risalenti alla II Guerra Mondiale, lì mai combattuta ma solo preparata: le rovine dei casamenti a testimonianza dei risultati.
Il mattino partenza presto per evitare una nuova perturbazione, poi non pervenuta. Salita al Passo Galambra e discesa verso il Rifugio Scarfiotti. Sapevo che la strada carrozzabile per il Colle Sommeiller era stata chiusa per una frana; spiacente per chi al rifugio sottostante ci lavora, ma mi sono goduto la discesa in totale solitudine e silenzio.
La frana non era poi granché, anche se i massi rotolati giù potevano in effetti preoccupare…
Discesa il giorno dopo verso Rochemolles e poi navetta e treno fino ad Oulx e ancora bus fino a Bousson. Cambio d’ambiente, non più praterie e pietraie in quota ma bosco di larici e abeti, ripiantati dopo la guerra. Una profusione di nocciolaie e qualche rapace lontano. Dopo un paio d’ore di cammino arrivo alla Capanna Mautino dove trovo gli amici che hanno lavorato lì. Bell’ambiente e cena in compagnia, aperitivo però nelle splendide praterie verso la Francia con i laghi alpini frequentati dai germani reali.
Esperienza positiva, il treno lascia tempi e libertà inaspettate, nella speranza che le lasci anche ai due senegalesi che non trovavano nessuno che parlasse francese e che hanno rischiato il passaggio in treno a Bardonecchia…

Aiguilles d’Arves
28Set

Canis major

Sveglia molto presto, arrivo al punto di partenza prima dei cacciatori. Lascio l’auto al limite oltre il quale l’accesso è riservato ai possessori di baite o ai malgari. I cacciatori passano con i loro 4×4, affittano le baite spesso per finta solo per avere mano libera.
Salgo la strada poderale con lampada frontale con luce rossa, meno visibile sia dagli umani che dagli animali, una salamandra mi osserva e io la evito. Arrivato fuori dal bosco spengo, conosco il pendio e mi godo la luce delle stelle. Orione è apparso, il cacciatore messo in cielo da Artemide. Ai suoi piedi Sirio – Canis major.
Sono certo che nessun cacciatore abbia visto il “collega” nel cielo di sud-est. Lui cacciava con arco e frecce, loro con ottiche e fucili che permettono tiri di chilometri. Ora mi volto e vedo che i pendii dove la caccia è aperta sono solcati dai fari in cerca di animali. La legge lo vieta, ma è un dettaglio. Usano addirittura gli abbaglianti del 4×4; per cosa poi lo sanno solo loro, manca ancora un’ora e mezza all’alba e spaventare gli animali ha poco senso; ma la loro è una gara, devono battere più forte il pugno sul tavolo al bar…
Li lascio alle spalle, sperando che non osino arrivare nella mia zona, caccia vietata.

Sento il primo bramito ma non individuo la provenienza, potrebbe essere a 50 metri come a 500; il vento porta i rumori e per fortuna ce l’ho in faccia. Monto la reflex sul cavalletto e proseguo. Negli ultimi anni i cervi si sono spostati sempre più a nord; ma in un posto buono, alla prima luce, sento che il padrone di casa è attivo. Quando si fa più chiaro vedo che ha con se cinque femmine e un piccolo, dopo poco tre scappano e lui le lascia fare. Sono distanti e non mi vedono, alle mie spalle invece fischia un camoscio, si allontana senza fretta.

Incontro altri camosci, tante femmine con i capretti dell’anno, segno che i lupi non fanno poi tanto danno in queste montagne poco scoscese…
Finalmente sento dei bramiti intensi e ripetuti, i cervi cercano le zone più tranquille per il loro periodo degli amori. E’ difficile individuarli per la distanza, ne vedo due affiancati, tra poco si daranno di stanghe e il più debole scapperà.

Non scendo, mi spiacerebbe disturbarli per una foto, ormai sul web si vede di tutto, gente che per soddisfare il suo pubblico fotografa animali in fuga e spaventati, l’egoismo trionfa.
Per questo non pubblicherò le foto per qualche mese, i cacciatori non si fanno problemi se vedono un bel trofeo a cercare il proprietario, anche se è in zona dove la caccia non è permessa. Le foto di animali sensibili devono invecchiare come il vino.

14Gen

Poesia e primitivo. Note sulla poesia come tecnica di sopravvivenza ecologica (1967) – Gary Snyder

Simmetria bilaterale.

“Poesia” come uso addestrato e ispirato della voce per incarnare rari e potenti stati della mente che sono, quanto a origine immediata, personali al cantore, ma a livelli profondi comuni a chiunque ascolti.

“Primitivo” come insieme di società che sono rimaste prive di sistema politico e di scrittura, allo stesso tempo sperimentando e sviluppandosi in direzioni che le società civilizzate hanno tendenzialmente ignorato. Avendo meno attrezzi, nessuna preoccupazione per la storia, una tradizione orale vivente anziché un sapere accumulato nelle biblioteche, nessun traguardo sociale da ambire, una considerevole libertà di vita sessuale e interiore, queste società vivono essenzialmente nel presente. La loro realtà quotidiana è fatta di un tessuto di amicizie e parentele, di quel campo di energia e di sensazioni che è il corpo, della terra su cui posano i piedi e del vento che la accarezza: e di molteplici aree di consapevolezza.

A questo punto si potrebbe essere tentati di affermare che la vita reale dei primitivi non è diversa da quella di chiunque altro. Non credo che sia così. Vivere nel “presente mitologico” in stretto rapporto con la natura, sperimentando stati corporeo-mentali elementari ma disciplinati, presuppone un’immaginazione più versatile ed una più precisa conoscenza soggettiva delle proprie caratteristiche fisiche di quanto non sia possibile a coloro che vivono (per dirla con le loro stesse parole) in modo inadeguato e impotente nella “storia”, con contenuti mentali programmati e in un rapporto con la natura reso tortuoso dalla presenza di quelle estensioni e astrazioni che sono gli strumenti di lavoro complessi. Una mano che preme un bottone può esercitare un gran potere, ma quella mano non saprà mai di che cosa è capace una mano. Le facoltà inutilizzate si atrofizzano.

La poesia deve cantare o parlare in base all’esperienza autentica. Fra tutti i filoni della tradizione civilizzata che hanno radici nel paelolitico, la poesia è uno dei pochi che possano realisticamente vantare una funzione immutata ed una rilevanza che sopravviverà alla maggior parte delle attività che oggi abbiamo intorno. I poeti, come pochi altri, devono vivere in stretto contatto con il mondo in cui sono immersi i primitivi: il mondo, nella sua nudità, che è fondamentale per noi tutti: la nascita, l’amore, la morte; il puro fatto di essere in vita.

La musica, la danza, la religione, la filosofia, hanno chiaramente radici molto arcaiche: un’origine in comune con la poesia. La religione ha avuto tendenza a diventare una fonte di legittimazione del sistema sociale, uno strumento del potere, anziché un veicolo di brivido liberatorio, di realizzazione e guarigione spirituale. La musica richiede perlopiù troppi strumenti. Il poeta può servirsi della sua sola voce e della sua lingua madre, facendosi strada fra le nebbie cristalline degli stati non verbali più rigorosamente incomunicabili e i coltelli luccicanti, le reti rilucenti del linguaggio.

In una delle scuole del buddhismo Mahayana, si parla dei “Tre Misteri”. Sono il Corpo, la Voce e la Mente. L’essenza stessa della nostra vita. La poesia è il veicolo del mistero della voce. L’universo, come dicono a volte, è un vasto, immenso corpo che respira.

Fra gli artisti, certi scienziati, gli yogi e i poeti, c’è una sorta di consapevolezza mentale che non solo sopravvive, ma modestamente fiorisce nel ventesimo secolo. Claude Lévi-Strauss (Il pensiero selvaggio) non vede problemi in questa continuità: “…non è né il pensiero dei selvaggi, né quello di un’umanità primitiva o arcaica, ma piuttosto il pensiero non domato, in contrapposizione al pensiero coltivato o addomesticato allo scopo di produrre un frutto… Oggi siamo in grado di comprendere che queste due forme di pensiero possono coesistere e interpenetrarsi allo stesso modo in cui (almeno in teoria) le specie naturali, alcune delle quali sono allo stato selvatico e altre trasformate dall’agricoltura e dalla domesticazione, possono coesistere e incrociarsi…che ci piaccia o no, ci sono aree in cui il pensiero selvaggio, come le specie selvatiche, è relativamente protetto. E’ il caso dell’arte, a cui la nostra civiltà riconosce lo status di parco nazionale”.

17Apr

L’incontro con il Gipeto

Ho tentato diverse volte di fotografare bene questo splendido avvoltoio; la Pasqua 2017 a quanto pare è stata propizia. Ero molto indeciso su quale zona puntare dopo aver già provato diverse valli valdostane e la val Zebrù nel parco dello Stelvio; sempre senza grande successo, due avvistamenti in fine settimana consecutivi nella zona di Cogne, nel Parco nazionale del Gran Paradiso ma a forte distanza, tanto che l’animale era decifrabile solo con forti crop.

Con la complicità del disgelo, che favorisce il volo del Gipeto per la ricerca di carcasse, ero indeciso tra due mète; nuovamente la zona di Cogne oppure il versante piemontese del Parco del Gran Paradiso, più vicino a quello della Vanoise nei pressi di Ceresole Reale. La scelta è caduta sulla prima opzione perché la seconda è una zona troppo facile da raggiungere, si arriva in macchina fino al punto dove capita che il Gipeto faccia i suoi volteggi. E’ facile trovare in rete foto in cui si dichiara che l’animale era sopra il parcheggio…

Direzione quindi verso la Valnontey, dove puntualmente vengono vietate agli arrampicatori alcune cascate di ghiaccio per la nidificazione del gipeto; direi a ragione, visto che nel 1913 quando il Gipeto è stato stupidamente estinto a causa probabilmente del suo aspetto luciferino, i cascatisti non esistevano… Per fortuna in questo periodo le cascate non sono più percorribili comunque, le urla degli arrampicatori non disturbano solo la coppia di avvoltoi…

Partenza presto e arrivo prima delle sette e mezza; temperatura prossima allo zero. Sulla strada pianeggiante che porta in fondo alla valle mi raggiunge e supera il mezzo del guardiaparco; qualche scoiattolo a metà tra l’incuriosito e lo spaventato fugge saltando tra i rami dei larici.

Per ora lo strato di neve ancora spesso tiene; mi fermo indeciso se indossare le mie snowshoes canadesi e lo sguardo spesso rivolto al cielo coglie finalmente il volo che cercavo. Un Gipeto sta sorvolando la cresta appena illuminata dal sole, la percorre più volte avanti e indietro e riesco quindi a fare qualche foto ambientata. E’ impressionante l’eleganza con cui sfiora le cime dei larici e le rocce senza battere le ali. Dopo che il primo si è allontanato eccone un secondo; vuol dire che se la coppia vola insieme il piccolo dell’anno è già nato, altrimenti uno dei due sarebbe a covare. In effetti il periodo è propizio, l’anno scorso è nato a marzo…

Già soddisfatto dell’avvistamento decido di proseguire, racchette da neve in silenzioso legno di frassino americano ai piedi, risalgo il pendio evitando le tracce degli scialpinisti. Raggiunto un bivio e fermatomi a valutare il percorso, vedo nuovamente il volo teso di un Gipeto che attraversa la valle verso di me. Cerco di mettere a fuoco ma la macchina non ne vuole sapere; mi accorgo di avere lasciato il selettore dell’obiettivo sulla messa a fuoco completa, la sposto su quella per i soggetti distanti ma ormai ho perso l’attimo… Ma se come prima ci fosse un va e vieni? Infatti eccolo tornare, mi volteggia sopra la testa a una quarantina di metri, inquadro e scatto, sperando che questa volta sia tutto a posto… Era incuriosito da me, capito che non ero interessante via verso il bosco a una quota di volo comunque bassa.

Ancora emozionato per l’incontro penso alla maestosità di questo animale, all’ignoranza di chi lo ha estinto e alla riuscita dell’impegnativa reintroduzione, con esemplari riprodotti in cattività a Innsbruck e poi portati al nido e seguiti dagli addetti quotidianamente fino all’indipendenza. Uno sparviere attraversa il cielo azzurro, le cince fanno chiasso sui rami dei larici, provo a sistemarmi per osservare con il cannocchiale le pareti per cercare il nido ma trovo solo qualche femmina di stambecco.

Sulla via del ritorno le racchette da neve sono ora fondamentali, senza si sprofonda con tutta la gamba; perdo il sentiero nel bosco e a un tratto il balzo di una lepre variabile ancora bianca mi coglie di sorpresa. Riesco a fotografarle solo le orecchie.

Finalmente al bar del parcheggio una birra e una fetta di torta, la simpatica proprietaria mi dice che il piccolo in effetti è già nato, un fiocco rosa sulla bacheca lo testimonia. La strada lungo il torrente, almeno nella parte bassa, è ora frequentata da molta gente, purtroppo qualche cane non al guinzaglio; i camosci abituati al movimento non se ne curano, io la mia parte di wilderness per oggi l’ho avuta…

22Mar

Walter Bonatti – estratto da “In terre lontane”

(…)E la tigre? Che ne è della “mia” tigre? Solo adesso mi do conto di aver dimenticato completamente la tanto inseguita fiera striata. Potrebbe anche essere qui sotto, poco lontana. Si sarà forse rintanata con l’avvicinarsi del suo periodo amoroso, o più semplicemente avrà deciso di finire il gioco a rimpiattino con me, l’intruso?

Per avvicinarla ho fatto cose incredibili, persino biasimevoli qualche volta. L’ho inseguita nella giungla, aspettata al varco nelle radure, spiata dall’alto degli alberi, e tutto questo per quaranta giorni consecutivi. Ma è stato inutile. Si è rivelata di un’astuzia davvero insospettabile. Però non ha mai tentato di assalirmi nonostante la sua fama di animale subdolo, aggressivo e di fredda ferocia. Devo dire che si è limitata soltanto a “sopportarmi”, quasi sdegnando un contatto diretto. Insomma è stata proprio come una gran dama. In fondo, l’insidia che io mi ero aspettato da lei, è stata invece proprio lei a riceverla da me, in forma di assillante assedio. Un essere cosiffatto non può che suscitare grande simpatia e massimo rispetto.

Parlando di un animale e dei suoi atteggiamenti si tende sempre, purtroppo, ad affibbiargli la limitazione dell’istinto, inteso come tendenza di ordine fisico-biologico e non di attitudine psicologica, dunque come fatto soltanto meccanico cui obbedire rimanendone quasi estraneo. Ma a dire il vero a me è sembrato invece che la tigre, sfuggendo al mio accerchiamento nel modo raccontato, abbia dimostrato di possedere un’autentica capacità di analisi. L’intelligenza e la sensibilità dunque non sarebbero soltanto prerogativa dell’uomo. Riferendomi ancora alla mia esperienza particolare, e fors’anche per quella mia recuperata parte di animalità, credo di essere giunto più di una volta a identificarmi nella tigre; deduco quindi che sia piuttosto limitato quell’abisso che starebbe a dividere l’uomo dall’animale. Tanto più che quest’ultimo dimostra spesso di intuire con immediatezza anche ciò che l’essere umano non arriva ad intendere, o almeno è assai lento a decifrare. Un animale superiore com’è la tigre sa, ma forse non sa di sapere; però capta assai bene il senso delle cose, questo io l’ho riscontrato. Potrebbe dunque possedere consapevolezza ed autocoscienza? Ho visto gente inorridire a quest’idea, gente che umanizza il proprio gatto snaturandolo, ma nel contempo ritiene che il sapere di un animale superiore stia scritto soltanto nell’istinto e nel vento, che tutto a lui racconta. A gran fatica costoro accettano che per un animale il mezzo di ricevere e inviare messaggi possa essere in certa misura di ordine extrasensoriale, dunque condotto su canali e con rapidità differenti rispetto ai nostri; ma dir loro che questi animali, pur governati da esigenze e comportamenti diversi dai nostri, possano provare anche qualche sentimento primario fondato sull’emozione, ebbene è un anatema. Eppure, sebbene non condivida il criterio di umanizzare un animale snaturandolo, a me è proprio sembrato che di emozioni nella “mia” tigre ne siano emerse più di una. Dopotutto, a darmene l’impressione, non potrebbe essere stata la medesima emotività da me adottata?

(…)L’affascinante avventura di spingermi nel mondo della sensibilità animale sta così per concludere un altro suo capitolo. Nell’esperienza appena fatta ho inoltre conosciuto ancor meglio l’incanto e la dignità della natura, la meraviglia della libertà. Condizioni, queste, già possedute dall’uomo, e poi perdute, che riportano all’origine delle cose e ricollegano agli antichi comuni valori. A ripropormi la lezione e impartirmene l’insegnamento è stato, questa volta, proprio il simbolo stesso della libertà selvaggia: la tigre.

19Mar

Biancone Day 2017

Dopo un  sabato adrenalinico passato aiutando un amico a tirar giù un castagno in tree-climbing una domenica tranquilla in un ambiente diverso dalle Alpi ci voleva, quindi perché non partecipare con l’amico ed esperto Claudio ad un appuntamento adocchiato da anni ma sempre rimandato? Ad Arenzano, al Parco del Monte Beigua, c’è stato il Biancone Day, giornata in cui si spera di vedere un certo numero di rapaci in migrazione.

Si spera perché non è così scontato; l’anno scorso a quanto pare pioveva e quest’anno siamo saliti al Centro Ornitologico del parco circondati da una compiacente nebbiolina. La vegetazione mediterranea, le rocce e la nebbia ricordavano i dipinti cinesi, ma c’è una certa incompatibilità a distinguere un rapace bianco su sfondo bianco, soprattutto se tra l’osservatore e lui è ancora più bianco… Resta il fatto che la migrazione dura mesi, ma a volte a smuovere la pigrizia a fare un po’ di chilometri servono le giornate organizzate.

Al Centro Ornitologico ci ha accolti Gabriella, una ragazza appassionata, preparata e gentilissima, incaricata di accogliere i visitatori della mostra fotografica allestita in una sala ed accompagnare i partecipanti ai punti di osservazione fornendo spiegazioni sul fenomeno della migrazione. Piuttosto sconsolata per la giornata all’apparenza poco adatta, ci ha comunque dato delle dritte utili a posizionarci nei punti migliori per cercare di evitare le nuvole basse e capire se i rapaci avrebbero volato sotto o sopra di esse… Alla peggio mi sarei accontentato di fotografare una delle sue ottime foto spacciandola per mia…

Intanto davanti al Centro Ornitologico un gruppo di Tordi bottacci cercava cibo tra il terreno rivoltato dai cinghiali. Sono rimasto sorpreso dal fatto che i Bianconi non risalgano la penisola come mi aspettavo; a quanto pare non amano i lunghi tragitti con il mare sotto di loro, quindi preferiscono arrivare in Europa dall’Africa attraverso lo stretto di Gibilterra ed evitare i 145km tra Africa e Sicilia. Così aumentano il viaggio anche di 2000km ma i gusti sono gusti e non si discutono…
Attraverso il monitoraggio di alcuni esemplari, tra cui uno battezzato Egidio, è stato possibile tracciare il percorso di migrazione.
Tra l’altro oltre ai Bianconi c’erano anche altri rapaci, nella foto qui sotto appunto un Falco di Palude, tra i più numerosi. Inutile dire che aspettavo la conferma delle specie da parte dei più esperti; io di solito prima fotografo e poi riconosco grazie a immagini o libri; invidio chi grazie alla passione di anni riesce a distinguere le specie a colpo d’occhio o d’orecchio.

Abbiamo visto in contemporanea fino a 14 rapaci volare insieme, ma tutti in una foto non ci stavano…

E finalmente il protagonista della giornata; in volo da ovest verso est, apparivano dal nulla tra le nuvole e scomparivano in dissolvenza. Diretti nelle regioni dell’Italia centro meridionale, osservati al cannocchiale davano l’idea di non stancarsi mai, con il loro volo possente e sicuro. In realtà è un viaggio molto faticoso, in cui mangiano poco o nulla. Chissà se la coppia che viene a nidificare vicino alla zona dove vivo passerà da lì? Fino ad oggi avevo visto il Biancone solo un paio di volte, malgrado i numerosi tentativi di avvicinarlo.

Scesi infine al mare, la piacevole sorpresa di una coppia di Marzaiole, anche loro in arrivo dal deserto del Sahel come i Bianconi, ma forse con un tragitto più breve…

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