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25Giu

Intervista a George Schaller di John G.Mitchell – National Geographic Italia – Ottobre 2006

Quando ha cominciato a interessarsi al mondo naturale?

Da bambino catturavo le lucertole  e serpenti e tenevo degli opossum; mi piaceva vagare per boschi e osservare gli uccelli. Ma è stato soltanto quando sono entrato all’Università dell’Alaska, nei primi anni Cinquanta, che ho scoperto come il passatempo di un ragazzino potesse divenire la professione rispettabile di un uomo.

Quali studi ha seguito all’Università dell’Alaska?

All’inizio studiavo gestione faunistica, finché ho capito che consisteva nell’allevare animali per farli uccidere dai cacciatori; cosa che non rientrava nei miei interessi. In seguito mi sono dedicato alla biologia sul campo, una materia che mi dava grandi soddisfazioni, nella quale mi sono laureato. Nel 1966 ho avuto la fortuna di essere assunto dalla New York Zoological Society, oggi Wildlife Conservation Society. Sono stati loro a finanziare il mio progetto sui gorilla in Africa, e negli anni hanno rappresentato un importante punto di riferimento.

A lei è riconosciuto un ruolo fondamentale nell’istituzione di alcune delle più grandi riserve al mondo, tra quelle del bacino del Rio delle Amazzoni, del deserto del Gobi, del Myanmar, del Tibet. In quale misura i rispettivi governi hanno cooperato con lei nell’istituzione di queste aree protette?

Innanzitutto bisogna chiarire che, in qualità di ospite di un paese straniero , non si istituisce nulla da soli. La creazione di un’area protetta dipende esclusivamente dal governo in questione, e tutto quello che si può fare, tutto quello che io faccio. È raccogliere informazioni sulla fauna e sulla flora selvatica, sulla distribuzione della popolazione umana, e avanzare delle proposte. Se queste sono ragionevoli, la maggior parte dei governi si dimostra disponibile ad ascoltarle. Se la proposta è realizzabile e se è coerente con la loro politica, si mettono all’opera e la portano a termine. Il governo cinese, ad esempio, ha lavorato intensamente in Tibet nel corso degli ultimi 15 anni. Lì rimangono ancora molte aree relativamente incontaminate, con scarsa densità di popolazione, che possono essere tutelate, e attualmente circa un terzo del Tibet è ufficialmente protetto. Per qualche ragione il governo cinese non pubblicizza queste iniziative, ma la Riserva di Chang Tang ha un’estensione di circa 310.800 chilometri quadrati, e si sta lavorando per tutelare altre aree. Potrebbe raggiungere 647.500 chilometri quadrati.

Perché abbiamo bisogno di istituire parchi e riserve?

E’ essenziale che ogni paese mantenga intatta una parte del suo patrimonio naturale come testimonianza per il futuro, come punto di riferimento per valutare i mutamenti ambientali, in modo che la gente possa conoscere lo splendore del passato, prima che iniziasse il degrado dell’ambiente. Per ripristinare un habitat naturale occorre sapere com’era originariamente. Queste aree protette, questi luoghi incontaminati, sono anche riserve genetiche, dove sopravvivono piante e animali altrove estinti. Possono rivelarsi un patrimonio inestimabile per la specie umana come fonte di cibo e farmaci. Se distruggiamo anche questi luoghi, non potremo recuperarli mai più,e qualcosa di inestimabile potrebbe andar perso per sempre.

In quali altre zone del mondo ha contribuito a stimolare l’azione dei governi nel tutelare la natura?

Nell’altopiano del Pamir, in Pakistan. Ho compiuto un’ispezione in loco nel 1974 e ho scritto una relazione, che sono riuscito a far pervenire al primo ministro attraverso alcune conoscenze. Avevo delle proposte per una riserva, e mi fu assicurato che l’avrebbero istituita. In seguito, lungo il confine, di nuovo dietro mia sollecitazione, la Cina ne fondò un’altra. A quei tempi, negli anni’80 e ’90, il Tagikistan e l’Afghanistan avevano vietato la presenza di cittadini americani sul loro territorio. Ora non esiste più alcun impedimento, per cui negli ultimi anni sto lavorando sul posto; stiamo cercando di creare un accordo tra questi quattro paesi per istituire una grande riserva transnazionale.

Ci parli dell’Iran.Il Governo è interessato alla salvaguardia dei pochi esemplari di ghepardo sopravvissuti in Asia?

Si, si è dimostrato molto sensibile. Vado in Iran con regolarità dal 2000, e il governo ci appoggia fortemente. Esistono soltanto 50 o 60 esemplari di ghepardo asiatico. Le tigri e i leoni sono ormai estinti nel Paese, ed è quindi comprensibile che non vogliano perdere anche i ghepardi.

Lei è stato in Iran durante due settimane di grande tensione politica con gli Stati Uniti. Non ha interferito con il suo lavoro?

No, assolutamente. La tensione politica non ha nulla a che fare con il popolo iraniano; è gente incredibilmente amichevole. E’ un piacere trovarsi in un paese come quello, gli iraniani hanno una cultura meravigliosa,e la volontà di fare qualcosa per salvaguardare la propria ricchezza naturale.

Si sente spesso parlare di “fauna carismatica”: elefanti, leoni, tigri, grizzly, panda giganti ed altri grandi animali che catturano l’interesse dell’opinione pubblica. Trova che questo termine sia diventato un cliché?

Mi piace osservare gli animali grandi, belli e interessanti, ma non basta. Non puoi semplicemente sederti e stare a guardarli. Hai l’obbligo morale di contribuire a proteggerli. Il vantaggio di occuparsi di questi animali consiste nel fatto che attirano l’attenzione del pubblico. E’ più facile ottenere un aiuto economico per studiare il panda che per studiare la sanguisuga. Ma questo non significa necessariamente che il panda sia più importante della sanguisuga  dal punto di vista biologico. Significa semplicemente che se ottieni dei fondi per salvaguardare un animale carismatico di grossa taglia , puoi automaticamente estendere la protezione alle sanguisughe, alle formiche, e a tutte le specie presenti nell’area. Noi scienziati parliamo spesso di biodiversità, ma è un termine astratto. Non proteggiamo il panda per via della biodiversità; lo facciamo perché stimola il nostro sentimento. La componente affettiva riveste un’importanza enorme nella tutela del patrimonio naturale.

Lei è stato uno dei primi a studiare il gorilla di montagna, e ha rilevato che lungi dall’essere una bestia aggressiva, è in realtà una creatura mite e molto intelligente. Ha scritto: “Nessuno può rimanere immutato dopo aver guardato un gorilla negli occhi…Capiamo che è ancora vivo dentro di noi”. Cosa rammenta della prima volta che ha guardato un gorilla negli occhi?

Il primo contatto è stato troppo ravvicinato. Ero rapito e impaurito allo stesso tempo, perché i gorilla, come la maggior parte degli animali di grossa taglia, sono individui con una propria personalità, e dunque non ero sicuro della reazione che avrebbe avuto. Alcuni hanno un carattere impulsivo , altri sono più placidi. Ma questa femmina di gorilla aveva occhi molto gentili, e assunse un comportamento tipico per la sua specie, quando è intimorita e vuole evitare un contatto visivo prolungato: lentamente, girò il capo dall’altro lato. Ma i gorilla hanno anche il merito di aver contribuito a dare un’identità al Rwanda. Questo paese sovrappopolato, estremamente povero, nonostante la sua storia di guerre civili e genocidi, ha eciso di proteggere e salvaguardare i suoi gorilla. Per un paese in simili condizioni, si tratta di un’iniziativa straordinaria.

Quale politica auspica nei confronti delle persone che vivono lungo i confini delle aree protette e che chiedono di poterli varcare per cercare generi di sostentamento?

E’ ovvio che vi sono luoghi in cui l’attività umana deve essere vietata, nella maniera più assoluta. Magari oggi la popolazione è molto esigua, ma tra 20 anni sarà cresciuta del doppio, e il degrado ambientale sarà inevitabile. Trovo che sia giusto cerca e delle modalità per cui la gente del luogo possa fruire – per quanto limitatamente – delle risorse naturali presenti sul proprio territorio. In un parco del Nepal, alcune compagnie straniere avevano costruito degli hotel, saturando l’economia della zona senza alcun beneficio per la gente del luogo. Per questo motivo alcune comunità decisero di riconvertire i loro campi coltivati in terreno incolto, coperto di erba alta e cespugli. I rinoceronti, le tigri e gli altri animali cominciarono a uscire dal parco per frequentare questi vecchi campi, dove la gente del luogo organizzò  delle strutture di accoglienza per i turisti. Realizzarono guadagni molto superiori di quelli che avrebbero ottenuto continuando a coltivare la terra. Ma purtroppo si tratta di un caso piuttosto raro. L’ecoturismo può sembrare un’ottima idea, ma basta guardare le statistiche per rendersi conto che solo una minima parte dei soldi spesi dai turisti va a beneficio della gente del luogo. Sono le compagnie straniere, i titolari di hotel stranieri, il personale straniero, ad arricchirsi.

Tra poche settimane partirà per l’Alaska  per ripercorrere il cammino che lei stesso e gli ambientalisti Olaus e Mardy Murie avete percorso mezzo secolo fa, quando avete iniziato a pubblicizzare il progetto dell’Arctic National Wildlife Refuge. Quali ricordi conserva di quell’avventura?

Era la magnifica estate del 1956. Trascorremmo la maggior parte del tempo sul versante meridionale della catena di Brooks. Oltre alle ricerche scientifiche, i Murie erano attenti a porre l’accento su quelli che Olaus chiamava”i valori preziosi e intangibili”. Rimasi molto colpito, perché rivedevo questo rinomato biologo che si approssimava ai 70 anni iniziare la giornata con un senso di gioia, di avventura, di curiosità. Ricordo che una volta, mentre camminavamo nella tundra, trovammo un cumulo di escrementi di orso. Lui ne prese una certa quantità in mano e con l’altra iniziò a frugarla per vedere cosa avesse mangiato l’orso. E’ stato un episodio che mi ha segnato, data anche la mia giovane età. Per quanto riguarda il mio ruolo nell’istituzione della grande Riserva artica (ANWR), ho fatto poco più che scrivere alcune lettere. Il ruolo fondamentale lo ha avuto la gente del luogo.

Ora l’amministrazione Bush e il senatore Stevens stanno cercando una via legale per l’apertura della pianura costiera della riserva ai sondaggi petroliferi. Cosa ne pensa?

E’ la dimostrazione che, se davvero ti sta a cuore qualcosa, non devi mai abbassare la guardia. Nulla è mai davvero al sicuro. Circa il 95per cento del North Slope dell’Alaska è già stato dato in concessione alle compagnie petrolifere. Non potremmo preservare almeno i territori ancora intatti? Che razza di gente siamo se non lo facciamo? Le compagnie petrolifere vogliono varcare i confini della Riserva, creando un precedente per estendere il loro sfruttamento. Se riescono ad accedere alla Riserva in Alaska potranno entrare ovunque.

Dove crede che ci condurrà il riscaldamento globale?

Si potrebbe discutere all’infinito sulle responsabilità dei mutamenti climatici, se siano effettivamente naturali o determinati dall’uomo. Ma il punto è che il clima sta cambiando molto rapidamente, e gli scienziati sono concordi nel ritenere che la causa sia l’utilizzo dei combustibili fossili. Se si aumentasse il rendimento delle automobili a 17 km per litro –cosa assolutamente possibile – e se si abolissero i sussidi per l’acquisto di auto di grossa cilindrata, risparmieremmo ogni anno una quantità di petrolio dieci volte superiore a quella che si potrebbe ricavare dallo sfruttamento dei giacimenti del parco dell’Alaska. La cosa bizzarra è che dovrebbe esserci gente istruita al rispetto; ma dov’è? Le nostre scuole e università hanno fallito nell’educare le coscienze alla consapevolezza e alla tutela di ciò che ci circonda. Anche gli ambientalisti hanno fallito: alcuni di essi non fanno che parlare di “sviluppo sostenibile”.

Cos’ha contro il concetto di sviluppo sostenibile, l’utilizzo di risorse naturali nei parchi e nelle riserve senza esaurirle?

Ogni territorio possiede dei tesori naturali che dovrebbero essere considerati come tali e trattati adeguatamente, ed è il compito delle organizzazioni ambientaliste combattere per la tutela di questi luoghi speciali. Una parte consistente di queste organizzazioni ha perso di vista il suo fine, che non consiste nell’alleviare la povertà o nel promuovere lo sviluppo sostenibile. Il loro scopo è salvaguardare i tesori naturali. Cosa dovremmo fare? Invitare i senzatetto a prendere alloggio al Metropolitan Museum o nel Taj Mahal? Si tratta di tesori culturali, e il discorso vale per la piana del Serengeti, per l’ANWR, per i vulcani di Virunga, che ospitano i gorilla di montagna. Alcune organizzazioni ambientaliste sostengono che alla gente del luogo dovrebbe essere riconosciuto il diritto di gestire le proprie riserve e farne l’uso che vuole. La trovo un’assurdità bella e buona! La cosa davvero preoccupante è che non pensiamo più alla natura. Parliamo delle risorse naturali come se ogni cosa al mondo avesse un prezzo. Ma non si possono comprare i valori spirituali al supermercato. Ciò che eleva lo spirito – una foresta secolare, le acque limpide di un fiume, il volo dell’aquila. L’ululato del lupo, quiete e spazi senza automobili – sono i valori intangibili. Sono questi i valori che la gente cerca veramente, ciò di cui abbiamo davvero bisogno.

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